Motori, batterie, ricarica: ecco cosa c’è da sapere

Ne parlano tutti e le loro vendite sono in forte crescita, nonostante l’emergenza coronavirus.

Per molti, le auto elettriche rappresentano il futuro, sebbene siano ancora lontane dalla diffusione delle tradizionali vetture a motore termico: in Italia, per esempio, hanno rappresentato l’1,6% del mercato nei primi otto mesi del 2020, ma con un incremento del 108,3% rispetto allo stesso periodo del 2019 (dati Unrae). Nei prossimi paragrafi ripercorreremo un po’ di storia delle emissioni zero, spiegheremo come sono fatte e le caratteristiche delle loro batterie, oltre alle modalità di ricarica, ai connettori e ai prezzi.

Nata nell’Ottocento.

Sembra un’idea recente, eppure quella dell’auto elettrica è una storia decisamente lunga. Basti pensare che tra le vetture che hanno finora fatto parte della Collezione Quattroruote c’è persino una curiosa Ohio M del 1912 con carrozzeria di alluminio e parafanghi di cuoio; e, soprattutto, con un motore a emissioni zero sviluppato dalla General Electric. Del resto, i primi veicoli alimentati a batteria vengono addirittura collocati nella prima metà del XIX secolo: già nel 1828, l’ungherese Ányos Jedlik costruì un’auto in scala mossa da un’unità elettrica da lui progettata. La prima carrozza con tale propulsore, del tutto spoglia, risale invece al decennio successivo ed è opera dello scozzese Robert Anderson. Non solo: nel 1899, la celebre Jamais Contente a forma di siluro, è stata la prima automobile a superare la soglia dei 100 km/h.

Poco successo.

All’epoca, gli ordini di questo tipo di alimentazione erano persino superiori a quello delle auto con motore a combustione interna, prima che quest’ultime si imponessero sul mercato qualche anno dopo. Da allora e fino alla fine del secolo scorso, le apparizioni significative di auto elettriche sono state sporadiche, se non con qualche flop negli anni 90, in Europa e oltreoceano (come la GM EV1, nella foto qui sopra). Nel nuovo millennio, tuttavia, batterie più efficienti e normative antinquinamento sempre più severe, ma anche prezzi di listino più bassi, incentivi all’acquisto e una generale presa di coscienza ecologista, hanno invertito la rotta.

L’elettrica oggi.

Ma com’è fatta un’auto a emissioni zero? Rispetto alle auto tradizionali a motore termico, un’elettrica è costituita da un minor numero di componenti e, pertanto, ha una struttura abbastanza semplice. Cuore pulsante del veicolo è il powertrain in cui lo statore, ovvero la parte fissa del meccanismo costituita da conduttori di rame isolati collocati attorno a un elemento ferromagnetico, deve creare un campo magnetico rotante. Il movimento di quest’ultimo è seguito dal rotore (nella tipologia più comune dotato di magneti permanenti) che, tramite un riduttore, il differenziale e i semiassi, eroga potenza meccanica trasmessa alle ruote del veicolo.

Piccoli ingombri.

Semplice, ma anche piccolo: il motore elettrico è ben più compatto di quello a combustione interna, a tutto vantaggio dell’abitabilità se la vettura viene progettata per ospitare esclusivamente delle unità elettriche (diversi modelli, come sappiamo, affiancano alle versioni a emissioni zero quelle a motore termico). Se poi è necessaria una maggiore potenza, i motori possono essere più di uno: per esempio, quando viene installata un’unità per ogni asse, ottenendo peraltro la trazione integrale. Ma i propulsori a emissioni zero possono essere persino più di due, come accade con la Lotus Evija, che ne adotta quattro, uno per ogni ruota, per oltre 2.000 CV. A tal proposito, molti avranno notato cifre iperboliche quando si parla della potenza di alcune elettriche: in realtà, il riferimento è spesso al valore di picco e non a quello d’omologazione, di norma ben inferiore. Se la prima è quella istantanea, ossia il picco raggiungibile dal veicolo in un breve lasso di tempo, la potenza che risulta sul libretto di circolazione è invece erogata in media nell’arco di 30 minuti, secondo la normativa ECE R85. Per fare un esempio, la Jaguar I-Pace può erogare fino a 400 CV, ma quelli omologati sono 234.

Batterie essenziali.

Il motore rappresenta sempre il cuore della vettura elettrica, ma è la batteria la sua parte fondamentale: tale componente rappresenta il serbatoio d’energia dell’auto a emissioni zero, ma è ben più pesante e costoso di quelli dei normali combustibili; peraltro, rispetto a questi ultimi, i tempi per il rifornimento sono ancora piuttosto lunghi, nonostante gli importanti (e continui) progressi tecnologici. Com’è noto, le batterie sono basate sul principio della pila elettrochimica: gli elettroni vengono scambiati tra due elementi, detti anodo e catodo, mentre un terzo elemento, detto elettrolito, assume la funzione di tramite ed è di norma allo stato liquido (è il caso delle batterie necessarie all’avviamento delle vetture tradizionali) o gelificato. Negli ultimi anni si stanno studiando accumulatori alternativi, come quelli con elettroliti allo stato solido o gli ultracondensatori, che non richiedono reazioni chimiche per immagazzinare energia, promettendo tempi di ricarica molto rapidi. Del resto, superata la scarsa autonomia delle vecchie batterie al piombo, la sfida di oggi è ridurre drasticamente i tempi per un “pieno”. Non va dimenticato che la densità di energia degli accumulatori al litio è assai più ridotta di quella dei combustibili: per dare un ordine di grandezza, tenendo anche conto del diverso rendimento dei motori (circa il 90% quello degli elettrici, contro il 30% di quelli a combustione), servono circa 30 kg di batterie per ottenere lo stesso lavoro offerto da un kg di benzina.

La ricarica domestica.

Nelle elettriche, i sistemi di recupero di energia in fase di rallentamento influiscono positivamente sull’autonomia residua del veicolo, incrementandola fino al 30% nei migliori dei casi. Nonostante ciò, la ricarica esterna rimane, ovviamente, la principale fonte di approvvigionamento dell’energia, con tempi e costi diversi a seconda della modalità adottata. Quella più lenta (ma economica) avviene da casa avvalendosi di un cavo di collegamento dotato di control box, da collegare a una presa domestica a 230 Volt: la quantità di energia erogata è modesta, limitata per legge con corrente a 10 Ampere e, quindi, potenza di 2,3 kW. Con tale modalità, una batteria da 40 kWh può richiedere più di 17 ore per un “pieno”. Per questo, se le ricariche dalla propria abitazione sono frequenti, è consigliabile l’adozione di una wallbox, più rapida e più sicura grazie all’adozione al suo interno di dispositivi di controllo: alla wallbox, l’auto viene collegata mediante un connettore dedicato a sette poli. Va ricordato, inoltre, che le infrastrutture per le ricariche domestiche o condominiali godono di una detrazione del 50% delle spese sostenute per l’acquisto e la posa in opera, che sale al 110% se quest’ultime sono effettuate congiuntamente con gli interventi previsti dall’art. 119, comma 1, del decreto Rilancio (isolamento termico e sostituzione degli impianti di riscaldamento).

I prezzi.

Per molti, il listino è sempre stato il vero tasto dolente delle elettriche.  Ma è ancora così? I prezzi, in realtà, sono in discesa: con il generoso ecobonus, la nuova Renault Twingo Electric scende a un minimo di 16.450 euro e addirittura a 12.450 in caso di rottamazione, mentre la Skoda Citigo EV può essere portata a casa rispettivamente con un esborso di 16.300 e 12.300 euro. A queste cifre, i modelli più economici diventano decisamente più accessibili. E non va dimenticato che i costi di esercizio sono assai ridotti rispetto a quelli di una vettura convenzionale.